La parte di un libro

Versione Completa   Stampa   Cerca   Utenti   Iscriviti     Condividi : FacebookTwitter
Mymoon
00venerdì 11 novembre 2005 15:54
Postate una piccola parte di un libro, romanzo o altro che vi ha lasciato il segno.



La notte diventa oscura, ma cos’è quest’oscurità in confronto a quella che la sua assenza ha gettato nel mio cuore? I lampi mi brillano intorno, ma cosa sono in confronto al bagliore dei suoi occhi quando mi lasciò pieno d’ira?
Non ho vissuto che nella luce della sua presenza, e perché non posso morire, ora che la luce mi è stata tolta? Furore delle nuvole perché dovrei temerti? Puoi ridurmi in polvere, come ti ho visto fare con i rami degli alberi eterni: ma il tronco rimaneva, e così il mio cuore sarà suo per sempre.
Ruggisci, terribile oceano! Le tue onde non cancelleranno mai la sua immagine dal mio cuore. Tu scagli mille onde contro la roccia, ma la roccia non si muove: è così sarà il mio cuore, come una roccia in mezzo alle calamità del mondo, lo stesso mondo di cui non avrei mai conosciuto i pericoli se non fosse stato per lui, e che per lui voglio affrontare!
Quando ci incontrammo per la prima volta il mio seno era coperto di rose: ora è nascosto dalle scure foglie dell’ocimo. Quando mi vide per la prima volta, tutte le cose vive mi amavano: ora non mi importa se mi amano o no, e io mi dimentico di amarle. Quando veniva all’isola tutte le notti, speravo che la luna splendesse: ora non mi importa se sorga o tramonti, se sia chiara o nascosta fra le nuvole. Prima che venisse tutto mi amava, e io avevo tante cose da amare da non poterle contare: ora sento di potere amare uno soltanto, e lui mi ha abbandonato. Da quando l’ho visto tutto è cambiato. I fiori non hanno più il colore di prima, non c’è più musica nel mormorio dell’acqua, le stelle non mi sorridono più dal cielo, e io comincio a preferire la tempesta alla calma.

Melmoth l'uomo errante (R. Maturin 1820)

Kalte Sterne
00domenica 13 novembre 2005 17:43
Città
Io sono un effimero e non troppo scontento cittadino d'una metropoli creduta moderna perchè ogni gusto già divulgato è stato eluso nell'arredamento come nella facciata delle case o nella pianta della città.
Qui non potrete segnalare le tracce di nessun residuo di superstizione. La morale e la lingua sono finalmente ridotte alla loro espressione più semplice.Questi milioni di persone che non hanno bisogno di conoscersi studiano, lavorano, invecchiano in modo tanto uguale, che il corso della vita deve essere parecchie volte più corto di quello che una statistica folle riscontra per i popoli del continente.
E come infatti vedo dalla mia finestra nuovi spettri vaganti attraverso il denso ed eterno fumo di carbone [...]delle Erinni novelle, davanti alla mia villetta che è la mia patria e tutto il mio cuore, dato che tutto qui somiglia a questo, la Morte senza lacrime, nostra attiva figlia ed ancella, un Amore disperato, e un grazioso Delitto che geme nel fango della strada.

A.Rimbaud
Alexandreus
00lunedì 14 novembre 2005 10:08
Migliaia di filosofie
...ho racchiuso in me migliaia di filosofie delle quali come se fossero reali, nemmeno due concorderebbero...

...al di sopra di tutti gli dei e di tutti i mondi, impersonale, nè buono nè cattivo, Intelligenza Pura, priva di tutti gli attributi, è il Destino.Ogni mondo, ogni universo, ha il suo Dio creatore, il suo Bene ed il suo male, che sono l'aspirazione a tornare a Dio e la tendenza ad allontanarsene...

...Le vie del misticismo e della Magia sono spesso vie di inganno e di errore. Il Misticismo significa essenzialmente fiducia nell'intuizione; la Magia significa essenzialmente fiducia nel potere...in un certo senso, sia il misticismo sia la Magia sono ammissioni di impotenza...

Fernando Pessoa
ultraviolet
00martedì 15 novembre 2005 15:44
"All'improvviso oggi ho dentro una sensazione assurda e giusta. Ho capito, con una illuminazione segreta, di non essere nessuno. Nessuno, assolutamente nessuno. Nel balenìo del lampo quella che avevo creduto essere una città era una radura deserta; e la luce sinistra che mi ha mostrato me stesso non ha rilevato alcun cielo sopra di essa. Sono stato derubato dal potere di esistere prima che esistesse il mondo. Se sono stato costretto a reincarnarmi, mi sono reincarnato senza di me, senza essermi reincarnato.
Io sono la periferia di una città inesistente, la chiosa prolissa di un libro non scritto. Non sono nessuno, nessuno. Non so sentire, non so pensare, non so volere. Sono una figura di un romanzo ancora da scrivere, che passa earea e sfaldata senza aver avuto una realtà, fra i sogni di chi non ha saputo completarmi...."
"Come Diogene a Alessandro, ho chiesto alla vita soltanto che non mi togliesse il sole. Ho avuto desideri, ma mi è stata negata la ragione di averli. Sarebbe stato meglio che avessi trovato ciò che ho davvero trovato.
Per ogni cosa ho esitazione, spesso senza sapere perchè. Cerco spesso, come una linea retta, la distanza più lunga fra due punti, considerandola in teoria la linea retta ideale. Non ho mai avuto l'arte di vivere in maniera attiva. Ho sempre sbagliato i gesti che nessuno sbaglia. Ho sempre fatto il possibile per tentare di fare quello che tutti sanno fare. Voglio sempre ottenere ciò che gli altri riescono a ottenere anche senza volerlo. Fra me e la vita ci sono sempre stati dei vetri opachi. [...]Sono stato il vaneggiamento di colui che volevo essere, il mio sogno è cominciato nella mia volontà, il mio proposito è stato la finzione di ciò che io non ero. Non ho mai saputo se era eccessiva la mia sensibilità per la mia intelligenza o la mia intelligenza per la mia sensibilità. Ho tardato sempre. Non so per quale delle due ho tardato: forse per entrambe, o per l'una o per l'altra. O forse la terza ha tardato.
[F. Pessoa, "Il libro dell'inquietudine"]
saetia
00martedì 15 novembre 2005 15:48
"Pensando a questa immagine,sono obbligato ad alzarmi e vado a vomitare nel mio lavabo non incassato ma stupidamente attaccato al muro della cucina. E tutto quello che esce da me ostruisce il lavabo di infelicità."
-Agota Kristof:ieri-
saetia
00martedì 15 novembre 2005 16:01
Nella mia testa un sentiero di sassi porta all'uccello morto.
Seppeliscimi,mi chiede, e negli angoli delle sue membra spezzate i rimproveri si muovono come vermi.
Avrei bisogno di terra.
Terra nera e pesante.
Una pala.
Non ho che gli occhi.
Due occhi velati e tristi che si inzuppano in un'acqua glauca.
Li ho avuti al mercato delle pulci in cambio di qualche moneta straniera,senza valore.
Non mi hanno offerto nient'altro.
Io li curo,li strofino,li asciugo in un fazzoletto,sulle ginocchia.
Prudentemente,per non perderli.
A volte strappo una penna al piumaggio dell'uccello e disegno venuzze color porpora su questi occhi che sono il mio solo bene.
Mi accade anche di annerirli completamente.
Allora il cielo si ricopre e comincia a cadere la pioggia.
Si intride,marcisce, manda un odore sgradevole.
In questi casi,infastidito dall odore,mi siedo un po' piu lontano.
Ogni tanto faccio delle promesse.
Andrò a cercare della terra
Ma non ci credo veramente. Neanche l'uccello ci crede.Mi conosce.
Perchè mai è morto qui,dove non ci sono che pietre?
Un bel fuoco risolverebbe ugualmente il problema.
O delle grandi formiche rosse.
Purtroppo tutto è così caro.
Per una scatola di fiammiferi bisogna lavorare dei mesi,e nei ristoranti cinesi le formiche sono carissime.
Della mia eredità non ho quasi più niente.
Mi assale l'angoscia,quando considero i pochi soldi che mi restano.
All'inizio spendevo senza fare i conti,come tutti,ma adesso bisogna che faccia attenzione.
Comprerò solo ciò che è assolutamente necessario.
Dunque niente da far per la terra,la pala,le formiche,i fiammiferi.
D'altronde,fatta questa riflessione,perchè dovrei sentirmi coinvolto nei funerali di un uccello sconosciuto?


L'UCCELLO MORTO-A. Kristof-

thehacker
00giovedì 17 novembre 2005 17:23
Del suo corpo non ho molto da dire,era semplice ed essenziale.Non potevo sopportarne la mancanza.Il piacere era incidentale.Mi gettavo su di lei,come sulla terra.Costringevo tutte le sue parti ad alimentare il mio bisogno e la vedevo farsi tanto piu grande e tanto piu potente quanto piu si affrettava a soddisfarlo.Affamato la tenevo a distanza afferrandola per i capelli o per il petto,roso dalla collera che provavo all idea di poter avere cio che volevo.E intorno ad ogni mio incontro con lei girava quel nastro di certezza,:che la mia vita era gia finita.era finita nell istante in cui l avevo vista per la prima volta.


J.Hart:::::::il danno

ps:secondo il mio gusto,nel film ci recita una delle attrici piu "elegantemente femminile e sensuale"di questi ultimi anni,J.Binoche........

[Modificato da thehacker 17/11/2005 17.25]

Morgana51
00sabato 19 novembre 2005 17:37
"Sono la regina degli angeli maldestri delle calde notti sole di violini ascoltati. Sono la regina del sottile sentire ansioso di angeli maldestri fragili gelsomini in fiore che passeggiano battendo ritmi che corrono dentro ferendo tremanti cuori in equilibrio sulla linea della mia inquieta lingua. Sono la regina di angeli in attesa di dolce risveglio tra le braccia entriamo un po' respirando piano tra le braccia in attesa di giochi senza memoria dove vendersi e svendersi e poi dimenticare. Cosa d'alta magia non ferirsi mai."
Isabella Santacroce, Luminal



(nella foto: Isabella Santacroce)



Mymoon
00sabato 7 gennaio 2006 15:07
Giorno dopo giorno in città, Jim ritardava la partenza. Davanti alla sua imminenza, spingevano i loro limiti sempre più lontano, e respiravano come vittime di un incantesimo. Un pomeriggio telefonarono insieme a Jules in una birreria. Jim stava in piedi dietro a Kathe, le sfiorava la schiena nella penombra, aspirava il suo odore - quasi svenne.
Pensavano alla morte come a un frutto dell'amore: qualcosa che avrebbero raggiunto insieme, forse domani.

Jule e Jim - Henry-Pierre Roché

[Modificato da Mymoon 07/01/2006 15.07]

Shantell
00sabato 7 gennaio 2006 15:23
Re:

Scritto da: thehacker 17/11/2005 17.23

ps:secondo il mio gusto,nel film ci recita una delle attrici piu "elegantemente femminile e sensuale"di questi ultimi anni,J.Binoche........

[Modificato da thehacker 17/11/2005 17.25]


concordo.... [SM=g27777]
Prince Rupert
00sabato 7 gennaio 2006 16:05
GEORG TRAKL
"MELANCONIA DELLA SERA"

- Il bosco che smorto si distende -
e ombre sono a lui d'intorno, come siepi.
La fiera esce tremando dal nascosto,
mentre un ruscello scivola tutto lieve

e felci segue e antiche pietre
e argenteo splende tra intreccio di fogliame
e presto lo senti in voragini nere -
che forse già splendono le stelle.

Il piano oscuro sembra smisurato,
sparsi villaggi, palude e stagno,
e qualcosa ti appare come un fuoco.
Uno splendore freddo guizza per le strade.

Nel cielo si avverte un movimento,
un esercito di uccelli selvatici migrano
verso quei paesi belli, diversi.
Sale e discende il moto del canneto.
Mymoon
00sabato 7 gennaio 2006 17:54
Anche in Jules e Jim la protagonista è Juliette Binoche.
thehacker
00domenica 8 gennaio 2006 17:35
Re:

Scritto da: Mymoon 07/01/2006 17.54
Anche in Jules e Jim la protagonista è Juliette Binoche.



ohii........moon....forse ti sbagli con Jeanne Moreau,
il film di Truffaut è uscito nel 62',e la binoche credo sia nata pochi anni dopo,ovviamente senza nulla togliere alla protagonista del film di cui si parla............

quella sera che ne parlammo,che io ti ho detto si è lei,ero affetto da lapsus e stanchezza.......vabbe' giusto per chiarezza....... [SM=g27777] [SM=g27775] [SM=g27775]
+Spellbound+
00sabato 21 gennaio 2006 16:30
"Il mio cuore è il mio unico orgoglio,l'unica fonte di tutto,di ogni energia,di ogni beatitudine e di ogni miseria.Tutto ciò che so,chiunque lo può sapere,ma il mio cuore appartiene solo a me." I dolori del giovane Werther.
venuseyes73
00lunedì 6 febbraio 2006 18:27
“Ho visto schierarsi, sotto le bandiere della morte, colui che fu bello; colui che, dopo la vita, non è divenuto brutto; l'uomo, la donna, il mendicante, i figli dei re; le illusioni della giovinezza, gli scheletri dei vecchi; il genio, la follia; l'accidia, il suo contrario; colui che fu falso, colui che fu vero; la maschera dell'orgoglioso, la modestia dell'umile; il vizio coronato di fiori e l'innocenza tradita”. (Chants de Maldoror)
“Alla malinconia sostituisco il coraggio, al dubbio la certezza, alla disperazione la speranza, alla malvagità il bene, ai lamenti il dovere, allo scetticismo la fede, ai sofismi la freddezza della calma e all'orgoglio la modestia”. (Poesie)

ISIDORE DUCASSE, Conte di Lautréamont
Mymoon
00venerdì 7 luglio 2006 22:07
…allora lei non doveva pensare a nessuno. Poteva essere se stessa, starsene per conto suo. Ed era proprio questa la cosa di cui in quel periodo sentiva spesso il bisogno: pensare, o meglio, neppure pensare. Starsene in silenzio; starsene da sola. Tutto l’essere e il fare, espansivi, luccicanti, vocali, svanivano; e ci si ripiegava, con un senso di solennità, a essere se stessi, un nucleo cuneiforme di oscurità, qualcosa di invisibile agli altri. Sebbene continuasse a lavorare a maglia e a star seduta dritta, era così che si sentiva; e questo suo io, essendosi liberato da ogni legame, era libero di compiere le più strane avventure. Quando la vita si inabissava per un attimo, il campo delle esperienze sembrava illimitato. Ed era comune a tutti questo senso di risorse illimitate, immaginava; uno dopo l’altro, dovevano sentire che le apparenze, le cose per le quali gli altri ci riconoscono, sono semplicemente puerili. Al di sotto è tutto buio, è estensione, è profondità incommensurabile; ma di tanto in tanto risaliamo alla superficie e questo è quello che gli altri vedono di noi. Il suo orizzonte le sembrò illimitato. C’erano tanti posti che non aveva visto; le pianure dell’India; si vide nell’atto di tirare una pesante tenda di cuoio di una chiesa romana. Questo nucleo d’oscurità poteva andare dappertutto, perché nessuno lo vedeva. Non potevano fermarlo, pensò esultando. C’era libertà, c’era pace, c’era, cosa più gradita delle altre, raccoglimento, riposo su una piattaforma di stabilità. Non come se stessi si trovava riposo, lo sapeva per esperienza, ma come un cuneo di oscurità. Perdendo la personalità, si perdeva l’ansia, la fretta, l’inquietudine: e le veniva sempre alle labbra qualche esclamazione di trionfo sulla vita quando le cose si raccoglievano in questa pace, in questo riposo, in questa eternità; e fermandosi, guardò in direzione di quel raggio del Faro, quello lungo e fisso, l’ultimo dei tre, che era il suo raggio. Spesso si ritrovava lì, seduta a guardare, con il lavoro in mano, finché non diveniva la cosa guardata – quella luce, ad esempio. E le veniva in mente qualche breve frase che le era rimasta impressa – “i bambini non dimenticano, i bambini non dimenticano”, ad esempio – che lei ripeteva e poi cominciava ad aggiungere, Finirà, finirà. Verrà, verrà, quando improvvisamente aggiunse, Siamo nelle mani del Signore.
Ma subito di irritò con se stessa per aver detto quella cosa. Chi l’aveva detta? Non lei; lei si era trovata intrappolata nel dire qualcosa che non aveva intenzione di dire. Sollevò gli occhi dal suo lavoro e vide il terzo raggio e le sembrò che i suoi occhi fissassero se stessi, frugando come solo lei poteva frugare nella sua mente e nel suo cuore, purificando l’esistenza di quella bugia, di ogni bugia. Lodò se stessa nel lodare la luce, senza vanità, perché era severa, era penetrante, era bella come quella luce. Strano, pensò, ma quando si era soli ci si appoggiava alle cose, alle cose inanimate; alberi, ruscelli, fiori; sentiva che essi la esprimevano; che divenivano simili a lei; che la conoscevano, nel senso che erano una cosa sola; sentiva così una tenerezza irrazionale (guardò quella luce lunga e fissa) come per se stessa. Guardò e guardò, con i ferri a mezz’aria, e allora dal suolo della mente si levò in volute, si levò dal lago dell’essere una nebbia, una sposa che andava incontro all’amato.
Che cosa l’aveva spinta a dire quel: “Siamo nelle mani del Signore? Si chiese. La falsità che si insinuava tra le verità le dette fastidio, la irritò. Tornò al suo lavoro a maglia. Come poteva il Signore aver creato questo mondo? Si chiese. Con la mente aveva sempre compreso il fatto che non c’è ragione, ordine, giustizia; ma sofferenza, morte, i poveri. Non c’era al mondo tradimento troppo vile che non lo si potesse commettere; lo sapeva. La felicità non durava; lo sapeva. Lavorava a maglia con fredda compostezza, le labbra leggermente strette e, senza accorgersene, irrigidì e atteggiò le linee del volto in un espressione di severità tale che quando lui passò non potè fare a meno di notare la severità alla base della sua bellezza. Si rattristò, la sua distanza lo addolorò, e passando sentì che non avrebbe potuto proteggerla e quando arrivò alla siepe era triste. Non poteva far nulla per lei. Doveva rimanere dov’era e guardarla. Anzi, la verità diabolica era che lui addirittura le rendeva le cose peggiori. Era irritabile, permaloso. Aveva perso la pazienza per la faccenda del Faro. Guardò la siepe, la sua intricatezza, la sua oscurità.
Sempre, pensava, ci si tira fuori dalla solitudine con una certa riluttanza, aggrappandosi a qualche sciocchezza, a un rumore, a una certa visione. Rimase in ascolto, ma era tutto molto silenzioso; c’era soltanto il rumore del mare. Smise di lavorare a maglia; per un momento tenne ciondolante tra le mani il lungo calzettone bruno-rossastro. Vide ancora la luce. Con una certa ironia nella domanda, perché quando uno si svegliava tutte le sue relazioni cambiavano, guardò la luce fissa, spietata, senza rimorsi, che era così tanto simile a lei e tuttavia lo era così poco, che la teneva in sua balia (di notte si svegliava e la vedeva china sul loro letto, che accarezzava il pavimento), ma nonostante tutto questo, pensò guardando affascinata, ipnotizzata – come se la luce con le dita argentate accarezzasse un qualche vaso sigillato nella sua mente il cui scoppio l’avrebbe riempita di gioia – aveva conosciuto la felicità, una felicità squisita, una felicità intensa, e la luce inargentò un po’ più vivacemente le onde selvagge, mentre il giorno svaniva e il blu uscì dal mare e rotolò in onde di limone puro che si curvavano e si gonfiavano e irrompevano sulla spiaggia e l’estasi le scoppiò negli occhi e onde di gioia pura corsero sul pavimento della sua mente e lei pensò Basta! Basta!
Lui si girò e la vide. Ah! Era bella, più bella ora si quanto avessi mai pensato. Ma non poteva parlarle. Non poteva interromperla. Voleva parlarle con urgenza ma decise di no; non l’avrebbe interrotta. Era così lontana da lui nella sua bellezza, nella sua tristezza. L’avrebbe lasciata stare, e passò oltre senza una parola, anche se lo addolorava il fatto che sembrasse così distante, e lui non la potesse raggiungere, non potesse far nulla per aiutarla. E ancora una volta sarebbe passato oltre se lei, in quel momento, non gli avesse dato di sua spontanea volontà ciò che sapeva che lui non le avrebbe mai chiesto, e non lo avesse chiamato e non avesse tolto lo scialle dalla cornice del quadro, e non gli fosse andata incontro. Perché lui, lo sapeva, voleva proteggerla.

Gita al Faro (Virginia Woolf)
xelah
00sabato 8 luglio 2006 15:47
...
+Anubi+
00martedì 1 agosto 2006 10:16
Una mattina, svegliandosi da sogni inquieti, Gregor Samsa si trovò nel suo letto trasformato in un insetto mostruoso.
Era disteso sul dorso, duro come una corazza, e se alzava un poco il capo poteva vedere il suo ventre bruno convesso, solcato da nervature arcuate, sul quale si manteneva a stento la coperta, prossima a cadere per terra. Le sue numerose gambe, pietosamente sottili in confronto alla sua mole, gli si agitavano davanti agli occhi.



l'agghiacciante, stupenda e, in fondo, semplice maniera in
cui spiega un fatto in realtà orrendo o comunque inquietante
mi ha sempre affascinato tantissimo..


P.S.

bhe è chiaro è l'inizio del La Metamorfosi di Kafka non l'avevo
scritto sopra ma 'nzomma [SM=g27778]

[Modificato da +Anubi+ 01/08/2006 10.17]

EveWhite/EveBlack
00mercoledì 13 settembre 2006 17:38
..

L'immagine della morte è bastevole ad occupare tutto un
intelletto. Gli sforzi per trattenerla o per respingerla sono titanici, perché ogni nostra fibra terrorizzata la ricorda dopo averla sentita vicina, ogni nostra molecola la respinge nell'atto stesso di conservare e produrre la vita. Il pensiero di lei è come una qualità, una malattia dell'organismo. La volontà non lo chiama né lo respinge.
Di questo pensiero Emilio lungamente visse. La primavera era passata, ed egli non se n'era accorto che per averla vista fiorire sulla tomba della sorella. Era un pensiero cui non andava congiunto alcun rimorso. La morte era la morte; non più terribile per le circostanze che l'avevano accompagnata. Era passata la morte, il grande misfatto, ed egli sentiva che i propri errori e misfatti erano stati del tutto dimenticati.
In quel periodo, per quanto poté, visse solitario. Evitò anche il Balli, il quale dopo di essersi contenuto tanto bene al letto di Amalia, aveva già perfettamente dimenticato il breve entusiasmo ch'ella aveva saputo inspirargli. Emilio non gli sapeva perdonare di non essergli più simile in questo. Era oramai la sola cosa che gli rimproverasse.
Quando la sua commozione s'affievolì, gli sembrò di perdere equilibrio. Corse al cimitero. La strada polverosa lo fece soffrire, e indicibilmente, il caldo. Sulla tomba prese la posa del contemplatore, ma non seppe contemplare. La sua sensazione più forte era il bruciore della cute irritata dal sole, dalla polvere e dal sudore. A casa si lavò e, rinfrescata la faccia, perdette ogni ricordo di quella gita. Si sentì solo, solo. Uscì col vago proposito d'attaccarsi a qualcuno, ma sul pianerottolo dove un giorno aveva trovato il soccorso invocato, ricordò che poco distante poteva trovare una persona che gli avrebbe insegnato a ricordare, la signora Elena. Egli - se lo disse salendo le scale egli non aveva dimenticata Amalia, la ricordava anche troppo, ma aveva dimenticata la commozione della sua morte. Invece che vederla rantolare nell'ultima lotta, la ricordava quando triste, spossata, con gli occhi grigi lo rimproverava del suo abbandono, oppure quando, sconfortata, riponeva la tazza preparata per il Balli o, infine, ricordava il suo gesto, la sua parola, il suo pianto d'ira e di disperazione. Erano tutti ricordi della propria colpa. Bisognava coprire il tutto con la morte d'Amalia; la signora Elena gliel'avrebbe rievocata. Amalia stessa era stata insignificante nella sua vita. Non ricordava neppure ch'ella avesse dimostrato il desiderio di riavvicinarsi a lui quando egli, per salvarsi da Angiolina, aveva tentato di rendere più affettuosa la loro relazione. La sua morte sola era stata importante per lui; quella almeno l'aveva liberato dalla sua vergognosa passione
...
Senilità
Sternennacht
00martedì 24 ottobre 2006 10:42
...Il primo giorno di lezione, vicino al fiume ancora immerso nell'alba, il vecchio Soseki chiese a Yuko ci chiudere gli occhi e di immaginare il Colore.

"Il colore non è all'esterno. Esso è in noi. Solo la luce è fuori" disse. "Cosa vedi?"
"Nulla. Con gli occhi chiusi vedo solo del nero. Perchè, voi no?"
"No" rispose Soseki. "Io vedo ancora il blu delle rane e il giallo del cielo. Allora, chi è il più cieco tra noi due?"
Yuko avrebbe voluto dirgli che il cielo non è giallo, nè le rane sono blu, ma si astenne da qualsiasi commento. Forse il vecchio era ammattito. O semplicemente rincitrullito. Non voleva contrariarlo.
"Maestro" disse "comincio a vedere"
"Cosa vedi?"
"Vedo il rosso degli alberi."
"Sciocco." disse Sosek. "Questo è impossibile. Qui non ci sono alberi."...


...In verita, il poeta, il vero poeta, possiede l'arte del funambolo. Scrivere é avanzare parola dopo parola su un filo di bellezza, il filo di una poesia, di un'opera, di una storia adagiata su carta di seta. Scrivere é avanzare passo dopo passo, pagina dopo pagina, sul cammino del libro. Il difficile non é elevarsi dal suolo e mantenersi in equilibrio sul filo del linguaggio, aiutato dal bilanciere della penna. Non é neppure andare dritto su una linea continua e talvolta interrotta da vertigini effimere quanto la cascata di una virgola o l'ostacolo di un punto. No, il difficile, per il poeta, é rimanere costantemente su quel filo che é la scrittura, vivere ogni ora della vita all'altezza del proprio sogno, non scendere mai, neppure per qualche istante, dalla corda dell'immaginazione. In verità, il difficile é diventare funambolo della parola. ...


...Ci sono due specie di persone.

Ci sono quelli che vivono, giocano e muoiono.

E ci sono quelli che si tengono in equilibrio sul crinale della vita.

Ci sono gli attori
E ci sono i funamboli.


Maxence Fermine -Neve-
.LexLutor.
00martedì 24 ottobre 2006 15:10
Un archivio di espereienze fatte... tra le "righe"


«Sempre più mi convinco che quei sogni nascondono qualche profonda verità che luccica debolmente nella profondità della mia anima, come il fievole riflesso dell’arcobaleno di una favola, durante la veglia. Allora, non so come, mi torna in mente la leggenda del misterioso Golem, l’uomo meccanico che tanto tempo fa, qui nel ghetto [di Praga], un saggio rabbino creò utilizzando i quattro elementi; poi gli diede una sterile vita d’automa rinserrata in una formula magica che gli pose tra i denti. E, come quel Golem si irrigidì come creta nel momento in cui la frase misteriosa gli fu tolta dalle labbra, così, pensavo, questi uomini si riducono ad entità senz’anima appena si spegne in loro quella piccolissima scintilla di un’idea, quella specie di muto sforzo, per irrilevante che sia è già degradato in molti di loro a quanto sembra a pigrizia senza scopo e ad attesa inerte di un qualcosa di cui essi stessi ignorano la natura. Nascondersi e attendere … attendere e nascondersi … il terribile, eterno motto del ghetto.»

«Ascolta e comprendi: l’uomo che è venuto da te, e che tu chiami il Golem, raffigura il risveglio dell’anima attraverso la vita più intima dello spirito. Ogni cosa sulla terra non è che un simbolo perenne rivestito di polvere. Impara a pensare con i tuoi occhi. Pensa con i tuoi occhi e osserva attentamente tutte le forme. Tutto ciò che ha preso forma era prima uno spirito. (…) Colui che è stato destato non si addormenta più. Il sonno e la morte sono una cosa sola.»

«Tutte le sue esperienze le deve considerare almeno parzialmente come simboli. (…) L’anima non è “una e indivisibile”; lo diventerà, e allora raggiungerà quello stato che si chiama immortalità; la sua anima è formata da un numero infinito di componenti, “ego” innumerevoli, come un formicaio è formato da innumerevoli formiche. Lei porta in sé le vestigia spirituali di migliaia di antenati, i progenitori originari della razza cui appartiene.»


Gustav Meyrink
Der Golem
xelah
00venerdì 27 ottobre 2006 13:34
«Ascolta e comprendi: l’uomo che è venuto da te, e che tu chiami il Golem, raffigura il risveglio dell’anima attraverso la vita più intima dello spirito. Ogni cosa sulla terra non è che un simbolo perenne rivestito di polvere. Impara a pensare con i tuoi occhi. Pensa con i tuoi occhi e osserva attentamente tutte le forme. Tutto ciò che ha preso forma era prima uno spirito. (…) Colui che è stato destato non si addormenta più. Il sonno e la morte sono una cosa sola.»

«Tutte le sue esperienze le deve considerare almeno parzialmente come simboli. (…) L’anima non è “una e indivisibile”; lo diventerà, e allora raggiungerà quello stato che si chiama immortalità; la sua anima è formata da un numero infinito di componenti, “ego” innumerevoli, come un formicaio è formato da innumerevoli formiche. Lei porta in sé le vestigia spirituali di migliaia di antenati, i progenitori originari della razza cui appartiene.»


Gustav Meyrink
Der Golem


SantaSamanta - son belli sti passi del libro...proprio belli [SM=g27784]
..forse mi è passato di fianco 1 fantasma - mentre li leggevo avevo i brividini...
.LexLutor.
00giovedì 16 novembre 2006 09:31
Rimbaud, Une saison en enfer
E' ritrovata.
Che?
L'eternità.
è il mare che si fonde
Con il Sole
Anima mia Eterna,
osserva il tuo voto
Malgrado la notte sola
E il giorno in fuoco.
Dunque ti disciogli
Dagli umani suffragi,
dagli slanci comuni!
E voli a seconda...
Mai la speranza
Nessun "Orietur"
Scienza e Pazienza,
Il supplizio è certo
Non c'è più domani,
braci di raso,
l'ardore vostro
è il dovere.
E' ritrovata!
Che?
L'Eternità.
E' il mare che si fonde
Con il Sole.
.LexLutor.
00giovedì 16 novembre 2006 09:39
Dylan Thomas
...E la morte non avrà più Dominio...



E la morte non avrà più Dominio
I morti nudi saranno una cosa
Con l'uomo nel vento e la luna d'occidente
Quando le loro ossa saranno spolpate e le ossa pulite scomparse
Ai gomiti e ai piedi avranno stelle;
Benchè ammattiscano
saranno sani di mente;
Benchè sprofondino in mare
risaliranno a galla,
Benchè gli amanti si perdano
l'amore sarà salvo;
E la morte non avrà più Dominio.

[Modificato da .LexLutor. 16/11/2006 9.40]

EveWhite/EveBlack
00lunedì 19 marzo 2007 20:51
......................

"Ricordo bene il suo sguardo.
Attraversa ancora la mia anima
Come una scia di fuoco nella notte.
Ricordo bene il suo sguardo. Il resto…
Sì, il resto è solo una parvenza di vita.

Ieri ho pesseggiato per le strade come una qualsiasi persona.
Ho guardato le vetrine spensieratamente
E non ho incontrato amici con i quali parlare.
D'improvviso mi sono sentito triste, mortalmente triste, così triste che mi è parso di non poter vivere un altro giorno ancora, e non perché potessi morire o uccidermi, ma solo perché sarebbe stato impossibile vivere il giorno dopo e questo è
tutto.

Fumo, sogno, adagiato sulla poltrona.
Mi duole vivere in una situazione di disagio.
Debbono esserci isole verso il sud delle cose
Dove soffrire è qualcosa di più dolce,
dove vivere costa meno al pensiero,
e dove è possibile chiudere gli occhi e addormentarsi al sole
e svegliarsi senza dover pensare a responsabilità sociali né al giorno del mese o della settimana che è oggi.

Do asilo dentro di me come a un nemico che temo d'offendere,
un cuore eccessivamente spontaneo
che sente tutto ciò che sogno come se fosse reale
che accompagna col piede la melodia delle canzoni che il mio pensiero canta,
tristi canzoni, come le strade strette quando piove."

................. [SM=g27774]
Sopor
00lunedì 19 marzo 2007 22:31
Peccato che la traduzione elimini ogni rima presente nel testo in inglese!

P.B. SHELLEY

STANZE, Aprile 1814

Via! Sotto la luna la brughiera è fosca,
rapide nubi hanno bevuto l'ultimo
pallido raggio della sera: via!
i venti che si adunano richiameranno il buio,
e la notte più fonda che il suo sudario
ammanterà le luci serene del cielo.

Non ti fermare! Passato è il tempo! ogni voce
grida: Su, via! Più non tentare
con un'ultima lacrima la ritrosia della tua compagna:
l'occhio della tua amante, così vitreo e gelido,
non osa chiederti di rimanere; dovere e abbandono
ti riconducono indietro nella solitudine.

Via, via! Alla tua casa triste e silenziosa;
versa lacrime amare sul tuo desolato
focolare e osserva le ombre
che vanno e vengono incerte come spettri,
le strane reti complesse che intessono
in una malinconica allegria.

Le foglie dei boschi d'autunno già spogli
volteggieranno attorno alla tua testa,
e i bocci della primavera rugiadosa
risplenderanno ai tuoi piedi, ma l'anima
o questo mondo un giorno svaniranno
nel gelo che avvince anche i morti,
prima che l'occhio severo della mezzanotte
possa incontrare il sorriso del mattino
prima che tu e la pace possiate incontrarvi.

L'ombre rannuvolate della mezzanotte
qui finalmente trovano riposo
sia perchè i venti deboli ormai tacciono,
sia perchè anche la luna è ormai precipitata
nel proprio abisso, e perfino l'oceano conosce
una tregua al suo moto irrequieto, e qualunque
cosa si muova o s'affatichi o si lamenti,
ora anch'essa si concede il sonno.

Tu solo nella tomba avrai riposo - e tuttavia
finchè i fantasmi non fuggano, che un tempo
ti resero caro il giardino, la casa e la brughiera,
i tuoi ricordi ed il tuo pentimento, e le tue
meditazioni profonde non saranno liberi
dalla musica di due voci, dalla luce di un dolce sorriso.
EveWhite/EveBlack
00mercoledì 11 aprile 2007 20:31
...

Se proprio devi odiarmi
fallo ora,
ora che il mondo è intento
a contrastare ciò che faccio,
unisciti all'ostilità della fortuna,
piegami
non essere l'ultimo colpo
che arriva all'improvviso.

Ah quando il mio cuore
avrà superato questa tristezza.

Non essere la retroguardia
di un dolore ormai vinto
non far seguire ad una notte ventosa
un piovoso mattino
non far indugiare un rigetto già deciso.

Se vuoi lasciarmi
non lasciarmi per ultimo
quando altri dolori meschini
avran fatto il loro danno
ma vieni per primo
così che io assaggi fin dall'inizio
il peggio della forza del destino
e le altri dolenti note
che ora sembrano dolenti
smetteranno di esserlo
di fronte la tua perdita.
...

W.S
luxury of tears
00mercoledì 11 aprile 2007 20:40
Cito anch'io "Ieri" della Kristof, il mio libro preferito, e proprio la parte precedente alla citazione di saetia, che e' praticamente il mio ritratto:

Ormai mi restano poche speranze. Prima cercavo, mi spostavo continuamente. Attendevo qualcosa. Che cosa? Non ne sapevo niente. Ma pensavo che la vita non poteva essere se non quello che era, vale a dire niente. La vita doveva essere qualcosa e aspettavo che questo qualcosa arrivasse, lo cercavo. Ora penso che non c'e' niente da aspettare, cosi' resto nella mia stanza, seduto su una sedia, e non faccio niente. Penso che c'e' una vita la' fuori, ma in quella vita non succede niente. Niente per me. Per gli altri puo' darsi che accada qualcosa, e' possibile, questo non mi interessa piu'. Io sono qui, seduto su una sedia, a casa mia. Sogno un poco, ma non veramente. Cosa potrei sognare? Sono seduto qui, e' tutto. Non posso dire che sto bene, non e' per il mio benessere che io resto qui, tutt'altro. Penso che non c'e' niente di buono a restare qui, seduto, e che dovro' per forza alzarmi alla fine, piu' tardi. Provo un vago malessere a restare qui seduto, senza fare niente da ore, o da giorni, non so. Ma non trovo alcuna ragione d'alzarmi per fare una cosa qualsiasi. Non vedo, assolutamente non vedo cosa potrei fare. Certo, potrei mettere un po' in ordine, fare un po' di pulizie, questo si'. E' piuttosto sporca la casa, trascurata. Dovrei alzarmi almeno per aprire la finestra, c'e' odore di fumo, di marcio, di chiuso. Non mi da' fastidio. O mi infastidisce un po', ma non abbastanza perche' io debba alzarmi. Sono abituato a questi odori, non li sento piu', penso solamente che se, per caso, qualcuno entrasse... Ma "qualcuno" non esiste. Nessuno entra.
Sternennacht
00lunedì 14 maggio 2007 19:22
"Il sonno, caro Chevalley, il sonno è ciò che i Siciliani vogliono, ed essi odieranno sempre chi li vorrà svegliare, sia pure per portar loro i più bei regali; e, sia detto fra noi, ho i miei forti dubbi che il nuovo regno abbia molti regali per noi nel bagagliaio. Tutte le manifestazioni siciliane sono manifestazioni oniriche, anche le più violente: la nostra sensualità è desiderio di oblio, le schioppettate e le coltellate nostre, desiderio di morte; desiderio di immobilità voluttuosa, cioè ancora di morte, la nostra pigrizia, i nostri sorbetti di scorsonera o di cannella; il nostro aspetto meditativo è quello del nulla che voglia scrutare gli enigmi del nirvana. Da ciò proviene il prepotere da noi di certe persone, di coloro che sono semi-desti; da ciò il famoso ritardo di un secolo delle manifestazioni artistiche ed intellettuali siciliane: le novità ci attraggono soltanto quando le sentiamo defunte, incapaci di dar luogo a correnti vitali; da ciò l'incredibile fenomeno della formazione attuale, contemporanea a noi, di miti che sarebbero venerabili se fossero antichi sul serio, ma che non sono altro che sinistri tentativi di rituffarsi in un passato che ci attrae appunto perché è morto."

Il Gattopardo -Tomasi di Lampedusa-

Altri 5 Anni di Oblìo.......................
EveWhite/EveBlack
00martedì 22 maggio 2007 21:53


Lentamente muore
chi diventa schiavo dell'abitudine,
ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi,
chi non cambia la marcia,
chi non rischia e cambia colore dei vestiti,
chi non parla a chi non conosce.

Muore lentamente chi evita una passione,
chi preferisce il nero su bianco
e i puntini sulle "i"
piuttosto che un insieme di emozioni,
proprio quelle
che fanno brillare gli occhi,
quelle che fanno
di uno sbadiglio un sorriso,
quelle che fanno battere il cuore
davanti all'errore e ai sentimenti.
Lentamente muore
chi non capovolge il tavolo,
chi e' infelice sul lavoro,
chi non rischia la certezza
per l'incertezza per inseguire un sogno,
chi non si permette
almeno una volta nella vita
di fuggire ai consigli sensati.

Lentamente muore chi non viaggia,
chi non legge,
chi non ascolta musica,
chi non trova grazia in se stesso.
Muore lentamente
chi distrugge l'amor proprio,
chi non si lascia aiutare;
chi passa i giorni a lamentarsi
della propria sfortuna o
della pioggia incessante.

Lentamente muore
chi abbandona un progetto
prima di iniziarlo,
chi non fa domande
sugli argomenti che non conosce,
chi non risponde
quando gli chiedono
qualcosa che conosce.
Evitiamo la morte a piccole dosi,
ricordando sempre che essere vivo
richiede uno sforzo
di gran lunga maggiore
del semplice fatto di respirare.
Soltanto l'ardente pazienza porterà
al raggiungimento
di una splendida felicita'.

P.N
Questa è la versione 'lo-fi' del Forum Per visualizzare la versione completa clicca qui
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 12:26.
Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com