00 18/10/2004 13:07
Sono ormai due anni che combatto per l’esercito ribelle, in questo lasso di tempo ho viaggiato in lungo e in largo per Elea, la dove la guerra ci portava.
Non mi sono mai curato troppo di quello che mi accadeva intorno, combattevo per rendere libero il popolo di Elea e questo mi bastava, ma dopo aver visto quello che è accaduto alla gente di Pertis tutto è cambiato. L’ odio, la rabbia e la vendetta ora spingono le mie azioni, quello che è stato non si dovrà più ripetere e morirò affinché questo accada; allo stesso tempo però, questo, mi ha spinto ricordare, a tornare indietro ad analizzare i fatti che molti anni fa mi spinsero a partire ed è strano vedere come tutto è successo quasi per caso.
Sono nato e cresciuto e cresciuto a Kitron in una grande casa mercantile poco fuori la città;
la mia era una famiglia ricca, mio padre era un famoso mercante di stoffe pregiate, tanto da riuscire ad avere come maggiori clienti nobili famiglie elfiche.
La mia famiglia era composta anche da mia madre e mia sorella: la prima era una donna semplice, costretta a sposarsi dai genitori per ottenere così parte del patrimonio della famiglia di mio padre; la seconda era una bambina eccezionale, che si dimostrava sempre molto più intelligente e matura dell’età che aveva. Grazie alla nostra condizione privilegiata, la mia infanzia è stata diversa da quella di molti altri giovani di Elea e ho potuto ricevere i migliori insegnamenti possibili e ho sempre vissuto nel lusso e nella tranquillità.
Le cose tra me e mio padre però non andavano molto bene: trovavamo da discutere su qualsiasi argomento e più io crescevo più le cose peggioravano, più io reclamavo la mia indipendenza e più lo voleva costringermi a fare ciò che voleva.
Argomento centrale delle nostre discussioni era “il mio futuro”, cosi lo chiamava lui; voleva che io continuassi il suo lavoro: ciò voleva dire trattare con quegli esseri dalle orecchie a punta per tutta la vita. Da parte mia, invece, non avevo la minima intenzione di fare da schiavo a quelle creature, così come faceva lui: quando venivano da noi, più che da clienti si comportavano da veri e propri padroni, tutto gli era dovuto, nulla di quello che gli si mostrava era ritenuto alla loro altezza e l’unica cosa che a mio avviso sapevano fare bene era pagare. Per mio padre invece era tutto diverso lui li adorava, li idolatrava quasi, ammirava tutto della loro razza, la loro storia, le leggende, la loro regalità; a volte sembrava che facesse tutto questo per sembrare uno di loro.
Decisi cosi che era giunto per il momento di andare per la mia strada! Mi sarei fatto una mia vita lontano da mio padre e dai suoi elfi. La sola persona per la quale mi dispiaceva andare via era la mia sorellina Thess: lei non aveva colpa di tutto questo, mi vedeva come un eroe e non potevo lasciarla qui da sola, ma era troppo piccola per portarla con me; decisi così che un giorno, quando mi sarei stabilito, sarei tornato a riprenderla.
E cosi che una notte presi le mie cose e di soppiatto mi avviai alla stalla, dove mi aspettava un cavallo sellato e pronto a partire. Entrando nella stalla, però, vidi una cosa che non mi sarei mai aspettato: mio padre era lì, mi stava aspettando e aveva le lacrime agli occhi. Mi osservò silenziosamente per un breve periodo e poi mi disse: “non sono riuscito a darti una vita felice fin ora, almeno accetta questi, nella speranza che il tuo futuro possa essere migliore”. Io non desideravo i suoi soldi, ma non potevo rifiutare anche quelli, era l’unica cosa che poteva darmi, così li presi, ma giurai a me stesso che non li avrei usati se non fossero stati la mia ultima speranza. Montai in sella al mio cavallo, Ares, e mi diressi verso Wermath, dove gli uomini vivevano liberi e si governavano da soli.
Arrivai in città dopo molti giorni di viaggio, e dopo essermi riposato un po’, iniziai subito a cercare qualcosa da fare con la quale avrei potuto pagarmi vitto e alloggio. Mi accorsi ben presto però, che non c’era molto da fare per uno straniero appena arrivato in città, e l’unica cosa che mi permettesse una buona paga e vitto e alloggio gratuito era l’arruolamento nella guardia cittadina. Durante il primo periodo mi sembrava di essere caduto dalla padella alla brace: ero fuggito dalla volontà di mio padre per eseguire ordini noiosi e umilianti. Mi abituai presto, però, a quel tipo di disciplina, ricavandomi uno spazio e prendendomi a volte qualche piccola soddisfazione.
Un giorno quando nella città regnava la più totale calma, giunse un dispaccio, che dichiarava che l’armata del Caos si stava muovendo verso Kitron, e che ben presto avrebbe portato un attacco sulla città lasciata scoperta dal ritiro delle truppe elfiche sull’isola di Turminiel. Subito il marasma avvolse le truppe, e io non avevo alcuna intenzione di rimanere lì in attesa che il tutto si calmasse prima che qualcuno decidesse il da farsi. Disobbedendo agli ordini e di conseguenza disertando, partii alla volta di Kitron nella speranza di trovare la mia famiglia ancora in vita. Più mi avvicinavo alla città e più l’aria si riempiva dell’ odore della morte, i cadaveri erano sparsi ovunque per le strade lasciati lì a marcire come cani randagi. Così senza quasi più speranza mi allontanai dalla città e mi diressi verso casa mia; un silenzio innaturale avvolgeva la grande villa, i cavalli e gli altri animali giacevano ormai senza vita sul terreno, ma non trovai traccia dei cadaveri della mia famiglia. Subito il dubbio mi assalì; non sapevo cosa ne fosse stato di loro, se fuggiti con gli elfi o fatti schiavi dalle bestie sanguinarie dell’esercito del Caos. Rimasi un giorno e una notte interi a pensare cosa ne sarebbe stato della mia vita, nulla aveva più significato per me ormai, neanche la mia nuova vita a Wertmarth. Sapevo però che un esercito formato da uomini che si erano ribellati si era unito sotto il simbolo delle due asce incrociate, simbolo che ricordava l’impresa del Salvatore proveniente dalla mia stessa città, e che ora quest’esercito marciava contro l’armata caotica per reclamare la libertà di un popolo ormai schiavo della guerra. Decisi così che era giunto il momento di spendere quei soldi che mio padre mi aveva lasciato e che fin’ ora non avevo osato toccare. Comprai armi, armatura e bardature per il mio cavallo, dopo di che mi misi in viaggio alla volta dell’esercito Ribelle.
Anche io avrei combattuto per la libertà del mio popolo, anche io avrei combattuto per far sì che gli uomini e non gli Elfi fossero custodi del loro regno, anche io avrei combattuto per conquistare quella libertà che ormai c’era stata negata, anche io avrei combattuto per quel sogno di nome Elea, che ormai si faceva largo nel cuore di molti uomini, nella speranza che un giorno avrei trovato la mia famiglia in vita e pronta a riaccogliermi con loro.